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La pigrizia degli stereotipi

La pigrizia degli stereotipi

Incontrando tutti i giorni decine di persone di tutto il mondo, è inevitabile essere influenzati dagli stereotipi: latino-americani ubriaconi, magrebini indolenti, senegalesi simpatici, ucraini rigidi, e così via. E se c’è senza dubbio una parte di vero in molti clichè condivisi in tutto il mondo, è altrettanto vero che una parte dello stereotipo deriva dalla pigrizia di chi guarda, che si accomoda nel suo non cercare di vedere al di là del pregiudizio sulla provenienza geografica.

Qualche tempo fa ho ascoltato un discorso fatto dalla scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie ai TED Talks, nel quale raccontava di come, arrivata all’università americana a 19 anni, si scontrò con i preconcetti delle sue compagne che la immaginavano povera, con un inglese scarso e legata a immaginari culturali arretrati: quale sconvolgimento fu per tutte loro scoprire che in Nigeria l’inglese è una delle lingue ufficiali, che la musica pop è la musica di tutte le adolescenti del mondo e che la bella Chimamanda non arrivava da una tribù del deserto ma da una moderna città universitaria!

Cos’è che guida gli uomini e le donne dei Paesi ricchi dell’Occidente a scegliere di considerare lo straniero a priori un inferiore che non merita empatia e rispetto ma solo, al limite, pietà? Eppure, vedere uno straniero come una persona, simpatica o antipatica, gentile o maleducata, colta o analfabeta, con cui puoi avere cose in comune oppure non averne, non è solo la cosa più logica ma anche quella più semplice. E un contesto come il nostro, dove l’italiano è insegnante, quindi in vantaggio, e il non italiano è studente, è una grande palestra dove allenarsi allo scambio, perché se io insegno italiano, tutti gli studenti che ho avuto mi hanno insegnato altro, perché non sanno la lingua ma di certo sanno tante altre cose. E così, abbandonando gli stereotipi, puoi scoprire che la tua allieva ucraina è appassionata di vini, che il tuo giovane studente egiziano sogna di fare il calciatore o che il tuo studente filippino è un cuoco provetto. Esattamente come i tuoi amici italiani.

Sara Pupillo

1 Marzo 2016 Daniele Murtas
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