Che cos’è lo ius soli o diritto del territorio, e perché la legge per introdurlo anche in Italia fa così fatica ad andare avanti?
Partiamo da un caso concreto. Martino è nato a Milano il 31 gennaio 2008, parla con uno spiccato accento lombardo, fa la seconda media, gioca a basket e suona la chitarra. I suoi genitori sono filippini, risiedono e lavorano qui da tanti anni e hanno un regolare permesso di soggiorno. Anche i suoi nonni materni sono milanesi di adozione. Martino si sente «italiano a tutti gli effetti»: con i cugini e con gli amici filippini è l’italiano che parla, sebbene usi il tagalog soprattutto con papà, e con i parenti quando torna nel suo paese di origine.Ma per lo Stato, cittadino italiano non potrà sperare di esserlo fino al compimento della maggiore età, quando dovrà farne espressa richiesta: una situazione sghemba, incerta, che anche se non gli toglie il sonno lo rende differente dagli altri: «Nella mia classe non c’è nessuno in questa situazione». In Italia, però, sono moltissimi i ragazzi sospesi.
Questi gli effetti dello ius sanguinis (diritto del sangue) in vigore nel nostro ordinamento giuridico: secondo la legge introdotta nel 1992, un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito in territorio italiano, può inoltrare la domanda di cittadinanza solo dopo aver compiuto la maggiore età e solo se fino a quel momento ha risieduto in Italia «legalmente e ininterrottamente». Il sistema ha molte trappole, perché lega il destino dei figli a quello dei genitori. Che cosa succede, per esempio, a tutta la famiglia, se nel frattempo scade uno dei permessi di lavoro del padre?
Non funziona così in tutti i Paesi dove vige lo ius soli, diritto del territorio, che garantisce a chi nasce in un certo Stato la cittadinanza immediata. Lo applicano, nella versione illimitata, gli Stati Uniti (lo sancisce il quattordicesimo emendamento alla Costituzione), il Canada, il Messico, l’Argentina, il Brasile, mentre è praticamente assente in Asia e in Africa.
In Europa lo ius soli illimitato non esiste, ma varie versioni temperate vigono in Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Belgio e Olanda: in tutto, nel 31% degli Stati. Per esempio, in Francia a 18 anni la cittadinanza arriva automaticamente, se i genitori al momento della nascita avevano un regolare permesso di soggiorno o se il ragazzo risiede nel Paese da cinque anni. Procedura ancora più semplice in Gran Bretagna, dove si diventa cittadini automaticamente a 18 anni se anche uno solo dei genitori ha un permesso di lavoro a tempo indeterminato.
E in Italia, dove il nostro regolamento resta uno dei più arretrati del continente? Una nuova legge sulla cittadinanza, basata su un sistema misto di ius soli temperato e di ius culturae (diritto di cultura) passò alla Camera nell’ottobre del 2015, ma venne bloccata in Senato dagli emendamenti di Lega e Forza Italia. Prevede che un bambino nato in Italia diventi automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente qui da almeno cinque anni. Se il genitore in possesso di permesso di soggiorno non proviene dall’Unione Europea, deve aderire ad altri tre parametri: avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; superare un test di conoscenza della lingua italiana. C’è poi la strada alternativa dello ius culturae, per cui potrebbero chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico. E i ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni? Per ottenere la cittadinanza, la legge prevede che abitino in Italia per almeno sei anni e superino un ciclo scolastico.
Da qui si deve partire per forza, impostando un nuovo dibattito. Il tema è tornato alla ribalta con la presa di posizione di Enrico Letta, che appena eletto segretario del Pd l’ha definito come obbiettivo fondamentale accanto al voto ai sedicenni. Le obiezioni si moltiplicano: da chi considera l’idea come divisiva e non prioritaria nel momento di emergenza che stiamo attraversando a chi teme l’arrivo dal mare di plotoni di giovani madri incinte. Ma con il calo demografico, l’argomento diventa improrogabile. Ed è una questione di civiltà.
(Egle Santolini)