A volte ci sono testimonianze che valgono più di mille discorsi. Se qualcuno avesse dubbi sull’importanza e l’incidenza del lavoro che Alfabeti svolge nella vita di molti immigrati ecco il racconto di Vitalii Hanych, già nostro studente. Vitalii è un giovane uomo di 32 anni arrivato in Italia nel 2015 da Leopoli (Ucraina).
Ma meglio lasciare subito la parola al suo racconto.
Sono figlio di minatori e stavamo in una cittadina a 70 km da Leopoli. Ho fatto studi tecnici e a 18 anni mi sono trasferito a Leopoli per studiare al Politecnico nella facoltà di Informatica, dove in cinque anni mi sono specializzato in sviluppo dei software. Sono stato subito assunto da un’azienda ucraina specializzata in applicazioni Apple e poi sono passato in un’altra azienda che creava giochi per cellulari e tablet. Ma ho deciso di lasciare l’Ucraina per la miseria degli stipendi: tutto il mio stipendio andava via in affitto, cibo e tasse… Mia mamma si era già trasferita in Italia fin dal 1998, quando io ero un bambino: papà era morto e lei ha dovuto emigrare per mantenerci, io sono cresciuto coi nonni. Tutti i miei amici erano già emigrati all’estero: chi in Polonia, chi in Spagna, chi negli Usa. Mia madre insisteva perchè la raggiungessi in Italia. Poi, nel 2014, è successo qualcosa che ha segnato profondamente l’Ucraina. E’ scoppiata la rivolta popolare contro il presidente filorusso Viktor Yanukovich, un burattino di Putin. E così è iniziata a poco a poco una sorta di guerra non dichiarata tra il mio Paese e la Russia. Dichiarata la mobilitazione generale, i giovani sono stati reclutati in massa dalle forze armate. Ogni mese mi arrivava la cartolina, ma io non firmavo la ricevuta: non mi sono mai presentato e…. sono sparito.
E poi?
Molti ragazzi sono stati presi con la forza. Poi hanno cominciato a imporre ai datori di lavoro di consegnare loro la cartolina-precetto e loro stessi dicevano ai dipendenti che chi non la ritirava perdeva il lavoro. Per fortuna c’era mia madre che dall’Italia ci mandava soldi per sopravvivere: me e i miei nonni. Così, nel 2015 ho deciso di venirmene via proprio mentre, nel frattempo, è arrivato il divieto di espatrio. Ho chiesto subito il visto al consolato d’Italia, ma ho dovuto pagare una signora ucraina introdotta al consolato per avere il visto. Solo dopo ho appreso che alle nostre frontiere di terra respingevano i giovani che venivano poi militarizzati a forza. Io invece sono riuscito a volare direttamente da Leopoli ad Orio al Serio con un visto turistico di soli 30 giorni! Avevo dovuto comprare anche il biglietto di ritorno, altrimenti non mi avrebbero fatto entrare in Italia; ma naturalmente sapevo che l’avrei buttato via!
Come è stato l’impatto con l’Italia Vitalii?
Io non sapevo una parola di italiano, ma c’erano molte badanti ucraine che lavoravano in Italia e mi hanno aiutato loro. A dir la verità, io credevo che in Italia tutti parlassero l’inglese che io avevo studiato in Ucraina e invece al controllo in aeroporto c’era un poliziotto che non sapeva nulla di inglese. E io non capivo lui e lui non capiva me! Per fortuna c’era una badante ucraina che mi ha spiegato che era obbligatorio avere anche un’assicurazione e che era quello che pretendeva il poliziotto.
(E Vitalii ride)
Non sono più tornato in Ucraina: non posso e non voglio rischiare. Ma non riesco neppure a immaginare di rientrare là: la mia vita ora è qui e va avanti qui!
È stata dura?
I primi due anni non trovavo nessun lavoro. Appena arrivato ero andato in questura per fare richiesta di ricongiungimento famigliare con mia madre che già da anni, rimasta vedova, qui si era risposata con un italiano. Poi ho trovato un’avvocatessa peruviana che mi ha aiutato a fare tutte le pratiche. Certo, non facevo niente: stavo a casa, suonavo la chitarra, nessun amico, nessuna relazione. Il colpo di fortuna è stato nell’autunno del 2016: mia mamma, abitando nel quartiere, è passata per caso in via Abbiati, ha visto la sede di Alfabeti ed è venuta qui a iscrivermi. Così ho iniziato il mio studio dell’italiano: ricordo ancora che sono stato messo in classe pre-A1 e avevo come insegnanti Rossella e Carolina il lunedì e Giorgia il mercoledì. Ricordo che tu, Gianni, eri presente alla prima lezione e mi hai rimproverato perché ero distratto, dicendomi che dovevo stare più attento se volevo imparare la vostra lingua. È stata un’osservazione preziosa che mi è servita. Ho capito che il fatto di sapere l’inglese mi aiutava, ma non bastava. A casa, mia madre non voleva aiutarmi perché diceva sempre: “So di sbagliare quando parlo italiano e non voglio insegnarti i miei errori!”. Oltre ad Alfabeti ho trovato in Internet una studentessa ucraina che insegnava l’italiano su Skype, ma tutto quello che so d’italiano lo devo però ad Alfabeti: è stato il punto principale di riferimento per me. E già nel 2017 sono stato in grado di sostenere il mio primo colloquio di lavoro in italiano. Certo, misto con l’inglese che, del resto, è la lingua di tutti noi informatici. E così, proprio l’ultimo giorno di scuola, sono stato assunto come progettista di software. Poi sono stato contattato da una nuova azienda per progetti più impegnativi.
E coi colleghi come va?
Al lavoro coi colleghi italiani va bene, anche se ancora faccio qualche errore e loro ridacchiano. Ma la cosa di maggior soddisfazione è quando mi è stato chiesto di venire due sere la settimana come assistente insegnante in una classe pre-A1 di Alfabeti. Anche se, sinceramente, venivo più per vedere gli insegnanti con cui è nata un’amicizia e un rapporto umano. Poi mi sono messo a insegnare informatica agli immigrati in un’altra scuola popolare. E così continuavo a migliorare anche il mio italiano. Ma, purtroppo, la pandemia ha bloccato tutto…
Guardo Vitalii con enorme soddisfazione e penso che sì, il Covid-19 ci ha bloccati per il momento, ma quello che abbiamo seminato ad Alfabeti è una pianticella che cresce e nessun virus potrà cancellare né fermare. Nella certezza che presto, molto presto, ritorneremo a seminare…
Giovanni Pianetta